C’è un malessere affliggente, inconfondibile, uno stato in cui non si riesce a intraprendere nulla perché non si ha voglia di nulla; in cui ci si limita ad aprire un libro solo per richiuderlo poco dopo; in cui non è possibile neppure parlare, perché ogni altra persona ci è fastidiosa, e noi stessi siamo per noi un’altra persona. È uno stato in cui vuole abbandonarci ogni cosa che prima generalmente contava, per noi, mete, abitudini, vie, classificazioni, confronti, estri, certezze, vanità, tempi.
C’è in noi un oscuro e tenace, ancora remoto avanzare a tastoni di qualcosa di cui non sappiamo nulla; mai sospettiamo che cosa potrà essere; mai riusciamo ad aiutarlo nel suo cieco muoversi. Siamo sempre colti di sorpresa quando infine si manifesta; non riusciamo a renderci conto che ce lo portavamo in noi, proprio dentro, e tiriamo un respiro di sollievo, non senza stupore per il mondo indomabile che ci si porta dentro e che a lungo preferisce non manifestarsi - Elias Canetti, La provincia dell’uomo.
Njoni:
Il primo paragrafo è la descrizione perfetta della depressione, in questo caso la depressone standard del genio standard, che in essenza non è differente dal depressione dell’idraulico, se ce l’ha, perché un idraulico depresso è un caso raro, invece il genio è sempre depresso, anzi è genio grazie alla depressione.
Il secondo paragrafo è la descrizione perfetta del peccato originale, negato come termine, ma più presente di prima quando era affermato.
Tjetra:
“Avanzare a tastoni di qualcosa” è grammaticamente scorretto, infatti non si capisce il senso della frase, semmai “avanzare a tastoni verso qualcosa”, “riusciamo ad aiutarlo” che cosa? Manca l’oggetto di cui si sta parlando. Questo testo è confuso, sgrammaticato, pieno di aggettivi impropri che, ridondanti, vogliono mostrare ciò che non è, e cioè la mancanza di idee e di argomenti. Questo testo pieno di parole ed aggettivi, errori grossolani, in effetti non sta dicendo niente.
Tjetri:
Aiutare che cosa? Quell’oscuro e tenace, e ancora remoto, avanzare a tastoni. E’ questo l’oggetto, che a lei sfugge. Comunque le ricordo che Canetti ricevette il Nobel nel 1981. Tutti quanti “capre” a Stoccolma?
Tjetra:
Infatti io non capisco perché gli è stato attribuito il Nobel, una persona il cui pensiero non è altro che il riflesso dei propri conflitti interiori. Non parla un linguaggio universale né è portatore di verità universali, ma solo del proprio mondo assolutamente soggettivo ed in cui si compatisce da solo. Personalmente non avrei dato il premio Nobel nemmeno a Bob Dylan se è per questo. Ma resta un mio pensiero. Ognuno pensa ciò che vuole.
Njoni:
Oramai questo è lo stile postmoderno, stile gnosi. Con due commenti, senza rendersene conto, hai fatto la descrizione perfetta dello stato d’animo di un fallimento epocale. Ogni volta che c’è un fallimento nella storia ritorna fatalmente la gnosi, idiozie soggettive infernali senza capo ne coda. Da quel punto di vista la capra Canetti lo merita il Nobel delle capre di Stoccolma come rappresentante perfetto del postmoderno, innominabile attuale. Poi non si rendi conto anche che vuoi verità universali e nello stesso tempo vuoi anche l’opposto: “ognuno pensa ciò che vuole”. Non si può aver tutto nella vita. L’universale non accetta che “ognuno pensa ciò che vuole”, sia il pensante un premio Nobel, sia tu e qualcun’altro sia.