FIAT LUX - pjesë e shtatë (Xhojsi)

Se un artista non sarebbe un depresso, sarebbe una persona normale che vive e non un scriba che scrive come Pirandello.

Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere - Jules-Henri Poincaré
Questo è il punto: atei e credenti non sono poi così diversi.
La verità sta da qualche parte nel mezzo.

Aurea mediocrità.

Oppure ricerca.

Trovi quel che cerchi e quel che sei. In mezzo si trova solo la mezza verità che è peggio della falsità, la quale almeno è intera. Mentre la Verità è unita dei complementari, oppure unione delle mezze verità contrari dei falsari.

Se una missione chiara fallisce nel presente passa nel futuro trasformato in mitologia del passato.

I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto.
Umberto Eco, Numero zero, 2015

Ma lui cos’è, perdente o vincente?

Quale è il punto, essere sempre vincente anche quado dici che sei perdente?

Una cosa è certa, come diceva Giordano Bruno, noi non siamo i prediletti nell’universo. Se fosse stato così, Dio non avrebbe consentito che l’umanità fosse stata capace di tanto egoismo e brutalità come vediamo oggi.

Si, invece degli uomini liberi e responsabile per quello che fanno, Dio doveva fare pupazzi di neve per festeggiare il Natale eterno.

Vi sono strane possibilità in ciascun uomo. Il presente sarebbe pieno di ogni possibile avvenire, se già il passato non vi proiettasse una storia.
(André Gide, I falsari)

In altre parole, ci sono debiti da pagare da parte degli individui, delle famiglie, delle tribù e delle nazioni. Senza estirpare i debiti storici, la libertà rimane un’illusione bla bla bla. Per essere veramente liberi, la Storia deve finire e lasciare spazio solo alla quotidianità.

Tutta l’opera di Mann ruota intorno alla figura dell’artista, e “La morte a Venezia” rappresenta una parte significativa del mosaico che egli rivela passo dopo passo, romanzo dopo romanzo. Il significato dell’opera è che l’arte e l’artista sono ormai morti, compreso lui stesso e la sua opera. Una realtà scioccante, difficile da accettare in una società che continua ad adorare l’arte e a glorificare la figura dell’artista, proprio come un tempo faceva con quella del sacerdote. Eppure, in verità, l’arte si alimenta del suo stesso cadavere – la Morte dell’Arte è stata dichiarata molte volte e in modi diversi – e con la carogna dell’artista o dell’autore (la Morte dell’Autore). Questo risulta evidente se si legge il libro senza cadere nell’adorazione e nella glorificazione.

Ma non potrebbe essere semplicemente la storia della infatuazione autodistruttiva di un vecchio per un ragazzino?

Potrebbe essere se Mann avesse fatto solo questa novella con un grande artista decrepito, e se no avesse dichiarato certe belle cose decrepite per i grandi artisti.

I libri son come marmellata oppure come democrazia che esistono solo per dire “a me piace a te non piace”.

Dopo Covid non ci sono più illusioni per la scienza, a quel tempo ogni scienziato urlava una teoria personale in tv. La scienza da sola falsifica la realtà, se non lo ammazza come sviluppo isterico moderno tecnologico. La matematica guadagna realtà dalla fisica, il numero non esiste in realtà. Non ha nessun senso dire “tre” in astratto, il numero tre guadagna senso e realtà quando si dice “tre mele”. Lo stesso, la filosofia guadagna senso solo con rapporto con la scienza, altrimenti la filosofia e il filosofo sono sintomi di psicopatia, fanno solo danni come di fatto hanno fatto di continuo nella storia. La filosofia e la scienza devono essere unite come complementari, divisi ognuna per conto suo creano una cultura schizofrenica conflittuale.

Intelektuali i shquar nuk mjaftohet si i pazoti të sqarojë problemet, por edhe kur është i zoti bën çmos të tregojë që asnjë problem nuk mund të sqarohet.

I miglioramenti che si realizzano col progresso, e cioè con nuovi metodi o dispositivi, hanno una forza di persuasione immediata, ma col tempo si rivelano di dubbio esito e in ogni caso sono pagati a caro prezzo. In nessun modo contribuiscono ad accrescere l’appagamento, la contentezza, o la felicità dell’umanità nel suo insieme. Per lo più sono addolcimenti fallaci dell’esistenza, come le comunicazioni più veloci che accelerano il ritmo della vita e ci lasciano con meno tempo a disposizione di quanto non ne avessimo prima. Omnis festinatio ex parte diaboli est: tutta la fretta viene dal diavolo, come erano soliti dire i vecchi maestri - C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni

Tutto quel che scrivono i grandi intellettuali - tipo Jung e simili - servono per distrare le persone - già distratte - dai veri problemi. Loro attirano l’attenzione nella periferia - in questo caso la tecnologia - ignorando le questioni centrali. E tutti cadono nella trappola delle discussioni interminabili dialettiche pro e contro il cellulare, anzi sono già in trappola esistenziale centrale e si autoinganno come il Grande Maestro che crede di uscire dalla trappola sparando mezze verità periferiche oppure scambiando le cause con gli effetti. La salvezza dell’umanità verrà o buttando il cellulare nel cassonetto dei rifiuti o comprando un nuovo più potente e più costoso.

Dimentichi che devi morire” - il capovolgimento del Medioevo dal postmodernista.

È la dose che fa il veleno - Paracelso

Se è la dose che fa il veleno, si può dire lo stesso che è la dose che fa il vizio?

Sì, secondo me.

Se rubi 10 euro sei santo, e se rubi 10 milioni sei ladro?

Se fumi due pacchetti di sigarette al giorno hai il vizio del fumo, se ne fumi una dopo i pasti, non direi. Se rubi 10 milioni sei un criminale, se rubi 10 euro, puoi essere definito un ladruncolo, ma non un santo. I santi si trovano solo in paradiso ma siccome il paradiso non esiste, non esistono nemmeno i santi. Pertanto mi sentirei dire che come la dose fa il veleno, la dose fa pure il vizio.

È la giustificazione che fa il filosofo - dico io, e il mondo è pieno di filosofi che quando muoiono vano a riempire l’inferno. Per questa ragione il paradiso è vuoto, dunque non esiste.

Non c’è bisogno di documentarsi per l’evidenza. Anzi la documentazione è sempre falsa, che è un altra evidenza, oppure in essenza è la stessa evidenza.

Mai binomio di termini e di concetti è stato così inscindibile come quello di amore e morte. Tanto che vano è cercar di comprendere l’uno senza l’altro. Fin dalle antiche mitologie delle più diverse culture, fin dai poeti tragici, amore e morte sono stati inesorabilmente intrecciati tra loro. “Ti amo da morire”, “Morir d’amore”, “Amare fino alla morte” sono solo alcune delle espressioni che testimoniano l’inscindibilità dei due concetti.

Allora il 68 con il detto famoso “Fatto amore non fate guerra” ha cercato invano di separare due concetti inscindibili e forse identificabile tra loro? Adesso capisco quelli che hanno fatto amore scatenato e chiedono stupiti: “Come mai Ucraina e Gaza nel 21 secolo?” La risposta é: “non avete fatto sesso abbastanza”.

Una volta che si comincia a narrare, poi si prenda il vizio. Finito un romanzo, viene la voglia di dire subito un altro - Umberto Eco

Succede lo stesso con le stupidaggini. Una volta detto una stupidaggine, poi si prenda il vizio, e non si finisce più perché ti viene voglia di dire subito un altro.

Nell’insieme, eccetto qualche genio - Steinbeck, Fitzgerald, Carver ecc. - gli autori americani, quando esprimono cose artisticamente e concettualmente valide, oscillino tra coordinate prettamente europee con minime aggiunte “americanizzanti”, tant’è che cambiando nomi propri e toponimi spesso si potrebbero scambiare le opere per libri nati in Europa da scrittori europei, quando invece tentino una nuova strada autonomamente statunitense cadano nella paccottiglia e/o direttamente nel vuoto più assoluto.

Finche le basi Nato saranno installate in Europa e in Italia, la letteratura americana sarà una grande letteratura.

C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.
Frédéric Beigbeder (pubblicitario)

Sulle prime ho trovato questo pensiero illuminante, poi, riflettendoci, credo che ci sia da ragionarci un po’… Forse chi è consapevole, sereno ed equilibrato con un Io ben formato non consuma e, a volte, chi è felice (e probabilmente lo si può essere veramente solo per attimi fugaci) consuma perché nell’ “euforia momentanea” non bada al denaro e azzera l’ansia dello spreco. Non riesco a trovare una risposta univoca.

On troverai mai una risposta convincente e univoca per ogni questione, perché sempre almeno due interpretazioni sono legittimi. Non per niente sono due emisferi del cervello, i neuroni con il polo positivo e negativo, don Camillo e don Peppone, destra e sinistra yin e yang ecc.

I casi di morte possono essere certo l’occasione di una prima superficiale ed elusiva presa di coscienza della morte. Il ‘‘si muore’’ che sentiamo alla televisione o leggiamo nei giornali diffonde l’opinione che la morte colpisca. Il morire viene così appiattito e ridotto ad una mera occorrenza, in evento pubblico che per essenza non è ancora perspicuamente il mio progetto esistenziale di un essere-alla-morte autentico, ma fuga di fronte alla morte nel consolatorio ‘‘non tocca a me’’.

Per chi crede nell’esistenza dell’al di là, oppure che c’è vita anche dopo la morte che è soltanto fisica come decomposizione del corpo, certamente la morte “non tocca a lui”, ma tocca a Heidegger e Bloch.

Per tutte le nostre presunzioni sull’essere al centro dell’universo, noi viviamo in un comune pianeta di una monotona stella ficcata in un oscuro angolo… in una galassia ordinaria che è una di circa 100 miliardi di galassie… Questo è il fatto fondamentale dell’universo che abitiamo. Ed è un bene per noi arrivare a capirlo.
Carl Sagan

Per i fisici nulla si può dire che esista in assenza di un osservatore. In assenza di dimostrazione che esistono altri osservatori noi siamo effettivamente al centro.

Per questa ragione i fisici hanno inventato gli UFO, per non sentirsi soli nell’osservazione dell’universo.