@BeluliXVI dhe @machitewa
nese jeni te interesuar per te ditur me thelle, un nuk jam fort ne qef per te shpjegu me ne detaje se sa eshte i rendesishem emri ne kuptimin e pergjithshem te fjales, deri tek nicku qe mbani ne blog ka rendesi per personin.
e di qe ka pak mundesi te keni durim te kuptoni çfare dua te them, por kushdo me dite me teper se pertej dijes ngambrapa per emrin, dhe cinizmit 2-leksh, mund te lexoni ketu. Duket i veshtire, por njehere kapur ideja eshte shume i lehte per tu kuptuar, shume me i lehte se Foucault ngambrapa qe ka shkruajtur kryevepren e tij me te njejtin titull (rastesi thua te jete sinjorina @finisterre qe lexon me hope Peshkun?), per te mos thene asgje, e me keq qe nuk mund te thuhet asgje, e nuk duhet thene asgje:
I nomi esprimono la natura delle cose e non sono soltanto segni condizionati di esse. Per questo la conoscenza dei nomi porta con sé la conoscenza delle cose. Le cose hanno i loro nomi secondo la loro natura, la conoscenza delle cose permette di dare loro dei nomi; questi ultimi vengono dati alle cose secondo l’arbitrio umano attraverso uno statuto iscritto oggettivamente nella natura.
Tutti questi tipi di interazione tra idea e cosa si ritrovano nell’applicazione all’interazione di nome e cosa nominata. a) Tra il portatore del nome e il nome stesso viene riconosciuta una somiglianza e tale somiglianza viene pensata talvolta come imitazione del nome da parte del nominato. In questo senso ad un ragazzo viene dato un nome con un qualsiasi significato, affinché egli imiti un nome e la sua vita sia corrispondente al nome. Ma anche accanto a questo significato razionale del nome esso ha un particolare contenuto mistico ed è questo contenuto che il nominato imita inconsciamente. b) Tuttavia il nominato non imita soltanto il nome ma ne partecipa, così tutti i membri di una stirpe partecipano del nome della famiglia. c) Ma si può dire anche viceversa: il nome è presente nel nominato, entra in esso, ed è in questo senso la forma interna del nominato. Se in un primo tempo si pensava che l’uomo imitasse da sé ed autonomamente il nome, ora vediamo che egli possiede da se stesso il nome per il fatto che il nome stesso lo forma ed è in esso presente. Così i nomi teofori trasmettono ai loro portatori caratteristiche divine.
Innanzitutto ad essere stato messo in secondo piano è il potere della parola, che nella società attuale erede del nominalismo ha subito uno svuotamento radicale. «Che cos’è la parola agli occhi dei più? Un senso enucleato più o meno felicemente; un concetto, plasmato in modo più o meno preciso, trasmesso a un altro mediante una traccia sonora e un segnale collegato esternamente al concetto». Su queste basi si infiltra un’abitudine, prima linguistica e poi globalmente culturale, a sottovalutare la parola. «Sono solo parole», si sente dire, come a significare che le parole non hanno nessun valore intrinseco, sono un nihil audibile come dicevano i nominalisti medioevali. Ma se, con un atto che richiama l’epoché husserliana, si fa un passo indietro e ci si stacca anche per un solo momento dalla superficialità abituale con cui si guarda alla parola, ci si rende conto che essa è qualcosa di più della semplice articolazione di un suono.
Nella misura in cui il nome rappresenta il nodo di tutti gli incantesimi e di tutte le forze magico-teurgiche è comprensibile che la filosofia del nome sia la filosofia più diffusa e risponda alle aspirazioni più profonde dell’uomo. Anche una filosofia fine ed elaborata pone il nome come il suo concetto base, come principio metafisico dell’essere e della conoscenza.
Ideja origjinale i tere shkrimit i perket Platonit (jo Platon Bubuqit te Belul mbretit te kombit Kuz Baba)